CHANGE
Feci un profondo respiro e chiusi
le palpebre a quel bizzarro momento per poi riaprirle e ritrovarmi, di nuovo,
raggomitolato su una sedia da 4 soldi. “VI DICO CHE NON SO DI COSA STATE
PARLANDO! VOGLIO ANDARMENE!FATEMI USCIRE DA QUI”. Urlai piangendo ad
intermittenza. Quel tardo pomeriggio la mia vita inizio a spezzarsi. Sentivo il
vento dietro le grate fermarsi, percepivo la luce dei lampioni provenire dal
grande viale asfaltato. Chissà se mia madre aveva preso le medicine, realizzai
che erano le 7 di sera oramai. Lo sostenevano le lancette appese alla parete
che a stento provavano a formulare “un tempo”. Vedevo le gambe tozze e
sconosciute brulicare di frenesia, quasi fossero indigeni intenti a danzare
attorno al fuoco. Mi sentivo preda. Cacciato come la più stupida delle bestie.
Scoloriva il mio viso e apparentemente mi facevo pacifico. Mentalmente ero
distante ed inquieto. Con un gesto veloce mi asciugai la goccia dal naso col
fazzoletto. “RACCONTACI COM’E’ ANDATA
STRONZO!” Chiesi un avvocato (d'altronde i film insegnano) ma alla richiesta
vidi 6 occhi abbaiare. Si strizzavano, poi si dilatavano: eran pronti a
balzarmi addosso. “NON SO CHI SIA, NON SO NULLA, CRISTO! VE L’HO GIA’ DETTO!”.
Mi ritrovavo in una casa di scomoda confidenzialità dove 2 labbra
schiaffeggianti si facevano, pian piano, sempre più audaci, quasi a volermi
infilare parole mai pronunciate, proprio lì, tra lingua e denti. Il busto era
possente, non vedevo, l’idea di dominare era chiara invece. Con uno scarpone
appoggiato al muro ridevano con libertà, borbottavano in gruppo. Non
conoscevano le belle maniere ma da un carcere ci si aspetta questo d'altronde.
Inarcai la schiena finché un pugno allo stomaco mi diede il benservito. “CAZZO
GUARDATI! SEI TU IN QUESTE FOTO! CHE CI FACEVI CON QUELLO? DEVI DIRCI DOV’E’
ORA!”. Una mano aperta sbatté sull’acciaio rumorosamente definendo un nuovo
territorio. Ero nella trappola del destino. “DANNAZIONE NON SONO IO!” Mi stavo
accorgendo d’esser noioso perfino a me stesso, stavo abusando della loro appena
accennata pazienza. Presi quegli scatti, mi sentivo una mosca appiccicata ad un
barattolo di miele. Il taglio degli occhi era identico al mio, il volto era
appena più minuto e seminascosto da una capigliatura arruffata. Portava lo
stesso brizzolato trascurato. “VI POSSO ASSICURARE CHE NON HO MAI AVUTO UN
CAPPOTTO SIMILE!”. Che scemenza e scusante poteva essere!!? Ora che ci
ripenso…mio dio!! Mi resi immediatamente
conto di trovarmi privo di ali, nulla poteva reggere confrontato alle loro
sicurezze. Mi dovevo disfare dei rigurgiti di un rimorso vivo ma senza natali.
Come scagionarsi da un’innocenza? Mi chiedevo. “TI BECCHERAI UN SACCO DI ANNI
AL FRESCO AMICO MIO! LA COSA E’ GROSSA. FACENDO COSI’ CI SEI DENTRO FINO AL
COLLO.” -“STATE COMMETTENDO UN ERRORE!” persistetti. Raccolsi la testa tra le mani, scuotendola in un tremolio che lasciava cadere scaglie di
banalità e tristezza. Lentissimamente sentivo crescere un vortice di
spavalderia intorno a me, si muovevano sicuri, erano forti e mi rendevano
consapevole che, da lì, sarebbe iniziato un opaco presente. “ALZATI
COGLIONE!!”disse probabilmente il capo, esaltante e tragico. Strattonato come
un fantoccio assopito ero nella tempesta. Rivendicavo la non quotidiana assenza
alla vita. Non conoscere la prossima scalata mi mostrava l’estremo, faceva
camminare nelle vene un miscuglio disgustoso. Puzzavo di sporco. Mi sbatterono
in una topaia di cemento “per pensare” dissero. Era prevedibile e agognavo
abbracciato alla sola umidità. Chiedevo ad uno scarafaggio com’era stato
possibile tutto ciò. Perché a me? Perché lo stesso fisico, lo stesso grossolano
portamento, lo stesso bracciale? Avrei voluto strapparmi la pelle, provare che
sotto c’era un cuore sano. Non riuscivo a pensare, è impossibile farlo quando
perfino dei piccioni ammassati ad un buco di finestra ti guardano in maniera diversa. Nessuno sapeva
dove fossi realmente finito. Io, invece, non mi capacitavo del perché. Una
macchina mi aveva inghiottito tra i vetri neri, mi aveva sottratto ad una
passeggiata a Camden Town nel mio unico giorno di permesso. Vidi mia madre in
cucina. Chi l’avrebbe accompagnata alla merceria? Chi le avrebbe comprato le
mimose? Spalancarono improvvisamente la porta. “MANGIA QUALCOSA, LURIDO
BASTARDO!”. Tastai il vassoio e trovai quel biglietto.
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