martedì 4 dicembre 2012

Scrittura Creativa Numero 5

TEMA: Era così ma voleva dire colà ma è successo un casino.


CHANGE

Feci un profondo respiro e chiusi le palpebre a quel bizzarro momento per poi riaprirle e ritrovarmi, di nuovo, raggomitolato su una sedia da 4 soldi. “VI DICO CHE NON SO DI COSA STATE PARLANDO! VOGLIO ANDARMENE!FATEMI USCIRE DA QUI”. Urlai piangendo ad intermittenza. Quel tardo pomeriggio la mia vita inizio a spezzarsi. Sentivo il vento dietro le grate fermarsi, percepivo la luce dei lampioni provenire dal grande viale asfaltato. Chissà se mia madre aveva preso le medicine, realizzai che erano le 7 di sera oramai. Lo sostenevano le lancette appese alla parete che a stento provavano a formulare “un tempo”. Vedevo le gambe tozze e sconosciute brulicare di frenesia, quasi fossero indigeni intenti a danzare attorno al fuoco. Mi sentivo preda. Cacciato come la più stupida delle bestie. Scoloriva il mio viso e apparentemente mi facevo pacifico. Mentalmente ero distante ed inquieto. Con un gesto veloce mi asciugai la goccia dal naso col fazzoletto.  “RACCONTACI COM’E’ ANDATA STRONZO!” Chiesi un avvocato (d'altronde i film insegnano) ma alla richiesta vidi 6 occhi abbaiare. Si strizzavano, poi si dilatavano: eran pronti a balzarmi addosso. “NON SO CHI SIA, NON SO NULLA, CRISTO! VE L’HO GIA’ DETTO!”. Mi ritrovavo in una casa di scomoda confidenzialità dove 2 labbra schiaffeggianti si facevano, pian piano, sempre più audaci, quasi a volermi infilare parole mai pronunciate, proprio lì, tra lingua e denti. Il busto era possente, non vedevo, l’idea di dominare era chiara invece. Con uno scarpone appoggiato al muro ridevano con libertà, borbottavano in gruppo. Non conoscevano le belle maniere ma da un carcere ci si aspetta questo d'altronde. Inarcai la schiena finché un pugno allo stomaco mi diede il benservito. “CAZZO GUARDATI! SEI TU IN QUESTE FOTO! CHE CI FACEVI CON QUELLO? DEVI DIRCI DOV’E’ ORA!”. Una mano aperta sbatté sull’acciaio rumorosamente definendo un nuovo territorio. Ero nella trappola del destino. “DANNAZIONE NON SONO IO!” Mi stavo accorgendo d’esser noioso perfino a me stesso, stavo abusando della loro appena accennata pazienza. Presi quegli scatti, mi sentivo una mosca appiccicata ad un barattolo di miele. Il taglio degli occhi era identico al mio, il volto era appena più minuto e seminascosto da una capigliatura arruffata. Portava lo stesso brizzolato trascurato. “VI POSSO ASSICURARE CHE NON HO MAI AVUTO UN CAPPOTTO SIMILE!”. Che scemenza e scusante poteva essere!!? Ora che ci ripenso…mio dio!!  Mi resi immediatamente conto di trovarmi privo di ali, nulla poteva reggere confrontato alle loro sicurezze. Mi dovevo disfare dei rigurgiti di un rimorso vivo ma senza natali. Come scagionarsi da un’innocenza? Mi chiedevo. “TI BECCHERAI UN SACCO DI ANNI AL FRESCO AMICO MIO! LA COSA E’ GROSSA. FACENDO COSI’ CI SEI DENTRO FINO AL COLLO.” -“STATE COMMETTENDO UN ERRORE!” persistetti.  Raccolsi la testa tra le mani, scuotendola  in un tremolio che lasciava cadere scaglie di banalità e tristezza. Lentissimamente sentivo crescere un vortice di spavalderia intorno a me, si muovevano sicuri, erano forti e mi rendevano consapevole che, da lì, sarebbe iniziato un opaco presente. “ALZATI COGLIONE!!”disse probabilmente il capo, esaltante e tragico. Strattonato come un fantoccio assopito ero nella tempesta. Rivendicavo la non quotidiana assenza alla vita. Non conoscere la prossima scalata mi mostrava l’estremo, faceva camminare nelle vene un miscuglio disgustoso. Puzzavo di sporco. Mi sbatterono in una topaia di cemento “per pensare” dissero. Era prevedibile e agognavo abbracciato alla sola umidità. Chiedevo ad uno scarafaggio com’era stato possibile tutto ciò. Perché a me? Perché lo stesso fisico, lo stesso grossolano portamento, lo stesso bracciale? Avrei voluto strapparmi la pelle, provare che sotto c’era un cuore sano. Non riuscivo a pensare, è impossibile farlo quando perfino dei piccioni ammassati ad un buco di finestra  ti guardano in maniera diversa. Nessuno sapeva dove fossi realmente finito. Io, invece, non mi capacitavo del perché. Una macchina mi aveva inghiottito tra i vetri neri, mi aveva sottratto ad una passeggiata a Camden Town nel mio unico giorno di permesso. Vidi mia madre in cucina. Chi l’avrebbe accompagnata alla merceria? Chi le avrebbe comprato le mimose? Spalancarono improvvisamente la porta. “MANGIA QUALCOSA, LURIDO BASTARDO!”. Tastai il vassoio e trovai quel biglietto.

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