giovedì 27 settembre 2012

Impressioni di settembre.

Ho iniziato a leggere un libro. E voi direte "sai che novità!".
Sono una di quelle che compra pagine incollate tra loro e divora le prime 50, poi cambia, poi ritorna, poi si appassiona, poi riprende da dove era rimasta: ho la fortuna di avere buona memoria!
Comunque, una frase menziona "settembre". L'ho sempre amato. Il mese che preferisco. Se una tizia mai vista dice di percepirlo come il periodo dove nascono le novità, bhè posso saltar fuori e affermare che qualcuno la pensa come me. Amo i colori, l'aria, vedere che tutto pian piano svanisce per mutare in pochezza, in un quadro scarno, povero ma d'impatto.
Le giornate si accorciano ed io spero nell'esatto contrario, faccio lo stesso sogno ogni mattina appena distendo le braccia. Amo la mia casa. E' il luogo più stimolante che io conosca. Da 30 anni è il secchio dove attingo l'acqua per rinfrescarmi quelle idee indispensabili per aprire gli occhi su ciò che banalmente vive. Vincono le tonalità calde come il giallo e il marrone/rossiccio. Le foglie che spazzo via sono cura che porta al rilassamento. Le grate delle finestre tagliano in 4 gli alberi e si raddoppiano, sono molti di più. Cemento, latta, ceramica, vecchie cataste di legno che non trovano fine, frutti da spremere: mi invaghisco di me in un contesto da favola. Prendo la macchina per allontanarmi con la convinzione che nulla è più terapeutico di ciò che sto lasciando, niente e nessuno può risvegliare la fantasia che vige tra mura e reti che tracciano una linea tra balle di paglia e fossati abbandonati. La corsa al miglioramento non è mai abbastanza. Dovrei tornare. Mi sporco le mani, poi il viso, poi sento la polvere, piccoli pezzetti di nostalgia, gioco con la terra, ammiro il cielo: le nuvole stanno a guardare cosa inventerò oggi. Esigo sia uno stile mio, che non possono impedirmi di avere, che chiunque potrà imitare ma non con la passione che mi contraddistingue. Guardo i raggi della bici girare piano piano e ricordo l'infanzia. Un'asse di legno diventava un oscillante appoggio per il mio corpicino. Mi facevo stretta e piccola per aiutare mia nonna a pedalare, per non dar fastidio. Aprivo le palpebre quasi a sentir male e ricevevo la natura, la esaminavo, la facevo "dote". Avvertivo che stavo divorando i frutti belli della vita, quei regali gratuiti a cui pochi fanno caso oramai. Correvo tra i vigneti, mi nascondevo e inciampavo nelle sacche scure create dalla pioggia, ero un disastro ma lo sono tutt'ora. Costringevo chi mi stava accanto a condividere un'immagine scoperta grazie alla dea fatalità. Fervore, euforia e trasporto erano ciò che mi abbellivano. Mi concedevano un sorriso fiero, un'espressione che talvolta rivedo guardandomi allo specchio, in una cornice intarsiata. Mi siedo tra i filari e il viola dondola per farsi rubare. 
Danzo con la testa.
Ci sento musica.
Ogni aspetto di letizia si fa sfondo di ciò che divento lentamente. 
Si è veloci per costrinzione ma per gustare ciò che stimiamo occorre amore e l'amore è appagamento.
Serve il giusto tempo, anni, secoli...una vita intera.
La mia storia è questa.



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