mercoledì 29 febbraio 2012

Quindicesima lezione 28-02-12

Si richiedeva un difetto in passato remoto.
Mi è balzata subito l'idea di tornare un pò alle origini. Diciamocelo, io scrivo poesie ma ultimamente sono nel vortice dei racconti, così mi son detta "rispolveriamo" perchè fondamentalmente, da anni, non ho fatto altro che descrivere le mie lacune interiori in versi. La forma di espressione che mi caratterizza è breve. Righe e righe di parole le sento come una costrizione che però voglio abbattere, a volte trovo tutto stimolante altre volte una tortura angosciante. Mettersi alla prova è non smettere mai di crescere nel bene e nel male. Io gioco. Lo faccio di continuo.
Il difetto in questione è una "voglia" sul viso. Ho scelto Lei perchè conoscevo una persona con questo "problema" dannatamente evidente e mi son sempre chiesta come dev'esser dura convivere con i commenti meschini e poco attenti del prossimo. 
Vorrei che questa donna reagisse nella maniera che ho sperato per lei.
(Settimana prossima vai di raccontini brevi e straordinari!)



Dal desiderio insoddisfatto di una madre  di Tesini Lisa



Gli occhi dell’innocenza,  delusi e diffusi,  sputarono sassi sul dipinto della mia imperfezione.
Nacqui tra le conclusioni già tratte e vidi una forma radicata sul volto.
Scrissi un dramma ad un conquistatore immediato di vite
feci di uno specchio l’abitudine alla normalità e conobbi il fascino superbo dello sforzo.
Una voglia di brindisi in una notte viola
decise l’interiorità altrui annientando il resto.
Un difetto cadde tra la pelle proiettando una fioritura che imparai a coltivare.
Scesi per combattere le cattiverie abituando la consapevolezza all’irregolare realtà.
Senso di rivalsa dominando l’intento
profumo di pace tra i rumori.
Misi del cibo avanzato su di un piatto tondo
lo guardai girare interminabilmente e lo ruppi.
Sentii piangere gli scarti di chi distruggeva l’esigenza di annullare una forzata esibizione
non richiesta, immutabile.
Preferii  dei cuori ad un aspetto.
Mi nascosi nelle botteghe dei fornai
nelle ore sconosciute del mattino
tra zucchero e farina piansi parole brevi.
Difesi l’imbarazzo nella penombra del potere dell’uomo.
Nella saggezza umile di un maestro dal mio stesso sangue
riconquistai la voglia di colore: qualsiasi esso fosse.
Giocai con l’emblema del dispiacere
con la rossa facciata
col destino odorante di poesia.
Conquistai dolcezza e severità da un grappolo d’uva rubato alla terra, reso liquido e posto sul mio viso.
Una macchia dilatata sbalordiva gli sgomenti.
Sconfissi burle e imposte sofferenze
venni anima nuova in carne segnata.
Esplosi nel risveglio di un figlio.
Superai il dito del giudizio e risuonai nell’accettazione della diversità.
La gabbia, le provocazioni, l’identificazione:
sorrisi e vinsi il riconoscimento di un dono chiamato difetto.





Nessun commento: