giovedì 16 febbraio 2012

Quante volte?

Convinta che l'amore, quello della vita, arrivasse una sola volta, non guardavo oltre le mura della città. Tutto era dov'ero. C'era quel che serviva senza bisogno d'altro. Le strade su cui mi muovevo non si contavano, intravedevo la loro fine da quaggiù: parole, immagini, momenti che rivivevo inconsciamente. Mi piaceva perdermi senza arrivare a toccare con mano quel che son convinta fosse la chiave delle mie verità. Avevo costruito tutto un pò diverso, diverso dai sogni. Prendevo una lastra di cemento decretandola la mia base e, sedendo sopra la stabilità, iniziavo a conoscere quel che mi aspettava. Vedevo scorrere tra l'erba la pioggia, il ghiaccio, un fiore senza profumo e la mia tipica espressione, mossa dal vento, mai stabile e pronta ad esser sollevata e spazzata via. Forse oltre le mura? Non sapevo cosa dirmi, cosa dire a chi non ha più il tempo di ascoltarmi. Cercavo sostegno senza sentire fatica, mi riposavo perchè è così che si fa ma sapevo bene la mia meta. Non ho mai rinunciato al niente ed è proprio questa ostinazione che genera le mie forze. Mi chiedevo come facevo e a quale anima sconosciuta appartenevo. Non ero io. L'amore è dare importanza alle banalità tanto quanto alle enormità che ci potrebbero regalare. Io mi perdo, senza mappa, senza valigia, senza sapere, solo per il gusto di andare. Camminare è il mio non essere piatta nei confronti del giorno che verrà. Una voce che non ho mai sentito non è ciò che mi conduce all'arrivo, chi è straniero non mi farà scoprire la terra del destino, oggi no almeno. Riconosco il sacrificio,  la sottile differenza tra me e l'idea di me. Una volta sola o ogni giorno? 

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