mercoledì 14 novembre 2012

Scrittura Creativa Numero 2


VOLEVA IMPARARE ANCORA.
La dottoressa aprì l’agenda carica di appuntamenti e si sentì immediatamente piantonata in un’immagine gonfia di sé, come se la presenza umana le ricordasse solamente affanni  e indifferenza. Si doveva sbrigare, chiudere lo studio e andare. Sarebbe stato divertente appendere alla porta un fazzoletto bianco in segno di libertà!
Per molti anni trascorse le vacanze estive in campagna.
Adesso?!  Perché proprio questo ricordo così disponibile e pacifico? Era indispensabile far ritorno in un luogo che la rendeva serenamente pronta alle felicità folgoranti che tutti, inconsciamente, si portano dietro.  La prognosi parla chiaro: sindrome da Mulino Bianco con miti e mistificazioni necessarie.
Un mozzicone col rossetto era agli antipodi di una realtà non basata sui vizi da mostrare. ..
“Torna al momento in cui l’istinto ti obbliga a seguirlo, ad ascoltare l’eco, a riprovare il gusto dello yogurt grasso in un vasetto di vetro spesso.”
Ubaldo è il solito tuttofare, una figura “che ti aspetti”. Poche regole da rispettare eseguite con rigore. Uno che allarga le braccia, arriccia le sopraciglia e goffamente dice che “c’è bisogno di cura e per la cura devi trovare il tempo”.
Ed ecco il risentire la terra sfracellata al suolo, file di vigne ordinate come soldati ma capaci di intrattenerla con quei colori, quelle chiome verdi quasi da sentire la pericolosa tentazione di non far ritorno.
Le pannocchie, qui, le sgranano alla sera, sul divano a scacchi marroni, con un secchio tra le gambe. C’è chi ha grosse bottiglie di latte che sembrano bambini che saltellano sulle cosce del nonno fino a diventare della forma del burro. Bianchi, malleabili.
Sembrano rilassarsi.  Così diverso dal “candore domestico” interrotto dal mais scoppiettante nel microonde in città: nuvole spugnose che son state cotte nella corte, solleticate dai rastrelli, coperte di notte. Una solenne sberla al bisogno di avvicinarsi alla semplicità più pura.
Irenio sul carro carico di letame ci vive, probabilmente! Ancora lì. La fece guidare all’età di 15 anni, le disse di accelerare e non sapeva davvero dove mettere il piede finché una palla di sterco e paglia lanciata a tutta velocità si fece freccia della verità: lei pensava fosse più grande il pedale, che diavolo ne sapeva!
Umiliata in maniera differente: lì era insegnamento.
Le sembrava di attendere un pasto caldo,  testa china al pavimento, trascinando il passo, sentendo l’odore nuovo, abbandonando l’abitudine sorrideva in una facciata mite. Dentro  costruiva tasselli di tempo perduto, l’unico che avrebbe voluto interfacciare con i suoi giorni, la leggerezza dell’umiltà, l’attesa per quel che si ama. Smarrita senza obblighi scanditi dalla carta e missioni spesso inconcludenti.
Maria e Irma se la ridevano sbattendo i mestoli di legno sulle pareti di rame di una pentola vecchia più di loro, mescolavano faticosamente una lava gialla e al momento giusto riempivano le panare sul tavolo. Sembravano tante riproduzioni del sole, fumanti e perfette. Sarebbe stato bello imparare: così fece!
Apprese la notizia che dalle zucche si ricavano le spugne, che la lavanda va messa in pezzi di collant per profumare i cassetti,  che si possono sciogliere gli scarti di sapone in bagnomaria per formarne altro, che il cucù va caricato ogni mattina, che il pane nel latte è davvero buono, che i bigodini li si può mettere alla sera prima di andare a letto per non rubare spazio al giorno, che la tasca del grembiule nasconde sempre qualcosa, che sapere usare la macchina da cucire è per vere donne, che il bracciale di rame sistema gli acciacchi, che l’aceto fa miracoli.
Gli ingredienti in gioco sono l’atmosfera, le bici, la superstizione, il sostegno dato da una foto, i fichi nelle cassette, i granellini dei melograni,  la pasta che mangia la farina, le parole urlate alle 6 del mattino.
“Ti cammino dietro anche se sei arrugginito, sento le fatiche ma la letizia allontana anche gli uccelli dal piumaggio sbagliato, vendi consigli, paghi un uomo con l’argento brillante di carati, hai la fede come unica libertà.”
Lasciò questo foglietto sulla stalla appuntandolo con un chiodo storto. Era per chiunque passasse da lì. Un grazie, un arrivederci, come l’ultima volta.
“Dottoressa Zeffera finalmente è tornata!”
“Sono stata a mescolare un paio di mondi: una ricetta gustosa CHE NON LE DICO!!!!  Bhè, Giovanna, dica 33…”.

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