VOLEVA IMPARARE
ANCORA.
La dottoressa aprì l’agenda
carica di appuntamenti e si sentì immediatamente piantonata in un’immagine
gonfia di sé, come se la presenza umana le ricordasse solamente affanni e indifferenza. Si doveva sbrigare, chiudere
lo studio e andare. Sarebbe stato divertente appendere alla porta un fazzoletto
bianco in segno di libertà!
Per molti anni trascorse le
vacanze estive in campagna.
Adesso?! Perché proprio questo ricordo così
disponibile e pacifico? Era indispensabile far ritorno in un luogo che la
rendeva serenamente pronta alle felicità folgoranti che tutti, inconsciamente,
si portano dietro. La prognosi parla
chiaro: sindrome da Mulino Bianco con miti e mistificazioni necessarie.
Un mozzicone col rossetto era
agli antipodi di una realtà non basata sui vizi da mostrare. ..
“Torna al momento in cui
l’istinto ti obbliga a seguirlo, ad ascoltare l’eco, a riprovare il gusto dello
yogurt grasso in un vasetto di vetro spesso.”
Ubaldo è il solito tuttofare, una
figura “che ti aspetti”. Poche regole da rispettare eseguite con rigore. Uno
che allarga le braccia, arriccia le sopraciglia e goffamente dice che “c’è
bisogno di cura e per la cura devi trovare il tempo”.
Ed ecco il risentire la terra
sfracellata al suolo, file di vigne ordinate come soldati ma capaci di
intrattenerla con quei colori, quelle chiome verdi quasi da sentire la
pericolosa tentazione di non far ritorno.
Le pannocchie, qui, le sgranano
alla sera, sul divano a scacchi marroni, con un secchio tra le gambe. C’è chi
ha grosse bottiglie di latte che sembrano bambini che saltellano sulle cosce
del nonno fino a diventare della forma del burro. Bianchi, malleabili.
Sembrano rilassarsi. Così diverso dal “candore domestico”
interrotto dal mais scoppiettante nel microonde in città: nuvole spugnose che
son state cotte nella corte, solleticate dai rastrelli, coperte di notte. Una
solenne sberla al bisogno di avvicinarsi alla semplicità più pura.
Irenio sul carro carico di letame
ci vive, probabilmente! Ancora lì. La fece guidare all’età di 15 anni, le disse
di accelerare e non sapeva davvero dove mettere il piede finché una palla di
sterco e paglia lanciata a tutta velocità si fece freccia della verità: lei
pensava fosse più grande il pedale, che diavolo ne sapeva!
Umiliata in maniera differente:
lì era insegnamento.
Le sembrava di attendere un pasto
caldo, testa china al pavimento,
trascinando il passo, sentendo l’odore nuovo, abbandonando l’abitudine
sorrideva in una facciata mite. Dentro
costruiva tasselli di tempo perduto, l’unico che avrebbe voluto
interfacciare con i suoi giorni, la leggerezza dell’umiltà, l’attesa per quel
che si ama. Smarrita senza obblighi scanditi dalla carta e missioni spesso
inconcludenti.
Maria e Irma se la ridevano
sbattendo i mestoli di legno sulle pareti di rame di una pentola vecchia più di
loro, mescolavano faticosamente una lava gialla e al momento giusto riempivano
le panare sul tavolo. Sembravano tante riproduzioni del sole, fumanti e
perfette. Sarebbe stato bello imparare: così fece!
Apprese la notizia che dalle
zucche si ricavano le spugne, che la lavanda va messa in pezzi di collant per
profumare i cassetti, che si possono
sciogliere gli scarti di sapone in bagnomaria per formarne altro, che il cucù
va caricato ogni mattina, che il pane nel latte è davvero buono, che i bigodini
li si può mettere alla sera prima di andare a letto per non rubare spazio al
giorno, che la tasca del grembiule nasconde sempre qualcosa, che sapere usare
la macchina da cucire è per vere donne, che il bracciale di rame sistema gli
acciacchi, che l’aceto fa miracoli.
Gli ingredienti in gioco sono
l’atmosfera, le bici, la superstizione, il sostegno dato da una foto, i fichi
nelle cassette, i granellini dei melograni,
la pasta che mangia la farina, le parole urlate alle 6 del mattino.
“Ti cammino dietro anche se sei
arrugginito, sento le fatiche ma la letizia allontana anche gli uccelli dal
piumaggio sbagliato, vendi consigli, paghi un uomo con l’argento brillante di
carati, hai la fede come unica libertà.”
Lasciò questo foglietto sulla
stalla appuntandolo con un chiodo storto. Era per chiunque passasse da lì. Un
grazie, un arrivederci, come l’ultima volta.
“Dottoressa Zeffera finalmente è
tornata!”
“Sono stata a mescolare un paio di
mondi: una ricetta gustosa CHE NON LE DICO!!!!
Bhè, Giovanna, dica 33…”.
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