Non vedevo l'ora di arrivare qui questa mattina!
Riprendiamo, dunque, con l'appuntamento "scrittura creativa".
Ieri sera era l'ora della biografia su Marco Ongaro (il proff appunto), divisa in capitoli mescolati, con personaggi che arrivano per un attimo per cambiare la storia, con morte ecc...questa è la mia.
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La pozzanghera di sangue era
l’unica nota di colore, non era troppo distesa per far sì che il foglio
rimanesse immutato nell’origine.
Prima, qualcuno, avrebbe dovuto
leggerlo.
“Mi sono ucciso per un sogno. Io non svengo. O vivo o muoio. Carnefice
di me, della mia consumata libertà, di lei, della mia rivoluzione cerebrale,
del mio eterno bisogno silenzioso.”
Fu questa l’unica opera firmata
Marco Ongaro.
Per una volta autore dal suo cuore
alla penna, per la prima volta con un volto esistente.
Non era tempo per applausi ad
altri, ora i meriti erano stomaco ed orecchie.
Firmatario assoluto.
Non più “negro” ma re e,
nonostante questo, schiavo di sé stesso.
Nato a Verona nella riflessione
della sua astuzia, tra un impazzito viaggio rotolante e una meta a cui dare significato.
Tra snobbare un piatto tipico e un attaccamento alle sue origini.
Era oratore, scrittore,
illusionista, strafottente con classe, attento al passato, saltinmente con risposta
prima della fine del tempo (tic-tac tic-tac tic-tac), alcolizzato da sé stesso, non amava nel modo
esatto.
Pure lui.
“E’ perfetto in svariate dimensioni ma non sa trovare quella che gli appartiene.
E’ puntina ruvida per i sottofondi. E’ il suicida del suo percorso”.
Azzardò un opinione
“strumentale”e fece l’occhiolino.
Era Bonnie che appoggiò con le
mani la verità su una vetrina di grammofoni vecchi ma non polverosi.
C’era Parigi, c’era la musica di un
tempo, i clacson che la disturbavano, le torri d’acciaio, gli archi di marmo, le
puttane che si conciavano da vere dame, c’era la pioggia, c’erano dolci
buonissimi, c’era Marco e l’inspirazione cauta e rilassata di una frase come
un’altra.
Ma era Bonnie.
Un uomo, improvvisamente, lo sfiorò come un lampo, arrancando passi
malmessi in anfibi slacciati, respirando affannosamente in una felpa scura,
urlando di fargli spazio.
E poi un rumore assordante e
troppo vicino.
Uno sparo senza mittente storpiò
i successivi sgoli e svuotò la strada.
Marco era trattenuto dalla rabbia
di non aver nemmeno chiesto “quel” nome e la voglia di soccorrere chi non aveva
più nulla da dire.
Fu una giornata che scombussolò i
suoi normali schemi.
Carriera d’opportunità,
sofferenze sottili, idee ingegnose, vertigini sulle nuvole, impronte lasciate
da un corpo elettrico.
Prendeva la scossa dallo sportello
della macchina, ogni sera d’inverno, ogni sera imprecava. Si concedeva a chi
sta lassù solo in quel momento.
Non era amarezza, non era
vacanza, non era in pugno, non era fottuto mai.
Sorprendentemente solo come da
copione. Ed era godimento.
Circondato da narcisismo e arrancati
sorpassi.
Sapeva che non sarebbe mai
risorto nella pelle di altri e si deliziava e sentiva freddo e vibrava e
premeva le 10 unghie su quella testa liscia.
Lasciava i segni bianchi
dell’impronta digitale che non lo sopportava.
Sul divano macchiato d’inchiostro
viveva quando poteva.
Amante del blues perché era
l’unica musica “bassa” come la sua voce da piccolo, disordinato e mai intento a
risolvere il problema.
Lo amavano.
Lo sapeva.
Dopo quel terremoto che devastò
gran parte dell’Italia, prese le distanze dalla frenesia, scavalcò le pile di
quotidiani, aprì lo zaino, ammucchiò i libri sul tavolo, accese la luce e si
complimentò mentalmente per la perfezione dell’azione.
Era sudato ed era metà novembre,
era un urlo in una conchiglia, nero e abissale come ciò che indossava.
Era dannatamente bella, semplice
a tutti i costi, modellata in un intrigante verve, profumava di crema di latte,
era da mordere piano piano, era l’unica cosa che ricordava dopo 70 anni sulle
spalle.
Nemmeno un nome. Solo una miriade
di sensazioni che lo stavano masticando.
Aprì il cassetto delle posate per
la prima volta: non cucinava, non aveva ospiti, non viveva l’intimità di una
famiglia perchè in 2 si stava stretti ma in uno c’era (forse) troppo spazio.
Con fermezza e decisione scovò
subito il coltello più grande, prese una sedia scricchiolante con un cuscino
giallo e decise di rilassarsi.
Fumò 3 sigarette pesanti. Il fumo
era dappertutto.
Scrisse velocemente e ripose il
foglio sul pavimento caldo.
In quell’istante suonarono alla
porta. Era il momento.
Gli allungò la lama, si
guardarono (credo), Marco fece un cenno e fu travolto da una pugnalata nel lato
del cuore. Un’intimità estrema scorreva a rigoli rossi.
“Tic Tic Tic Tic” gocce pesanti
in un secchio vuoto da riempire.
Lei aveva ragione “Non era mai riuscito a trovare la giusta
dimensione e divenne il suicida della sua vita”.
Ciò che ERA lesse le righe di CHI
NON ERA e, a gambe incrociate, iniziò a guardarlo dal basso verso l’alto.
Compassione e rispetto.
Per la prima volta era solamente
un’anima.
Non era mai stato così completo.
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Dopo poche righe Ongaro ha chiesto di chi fosse il foglio che aveva in mano e subito dopo procedeva da solo con la risposta: aveva capito che ero io!! Alla fine del racconto gli è scappato un "Ma sei bravissima, che termini! Ti si riconosce perchè in ciò che scrivi sei diversa da tutti gli altri! (che comunque ognuno ha una linea....).Era davvero sincero. Applauso.
Il mio grado di autostima credo sia salito allo stelle in quel preciso istante. Non so come dire ma era come se, quell uomo, avesse capito al volo ogni mia singola parola, riferimento, metafora, ecc...Non avrei dovuto spiegare niente...L'aveva interpretato come volevo io, l'aveva sentito come l'avevo scritto. Pazzesco!
Ci rimango così, un pò impietrita e un pò soddisfatta. Sentirsi dire d'avere uno "stile" per me è fondamentale, forse è proprio quello che cerco, forse è quello che voglio che la gente riconosca in me..una personalità!
A tal proposito mi tiro le orecchie per essere stata, a mio avviso, banale su alcuni punti...Il suo mestiere da "negro", l'aver menzionato Parigi e il suo abbigliamento rigorosamente nero. In tanti hanno addocchiato questi particolari e avrei voluto non essere "tra i tanti" ma imparerò a sviare dal prototipo di ciò che è e cercherò di andare oltre.
Altre 2 cose porto a casa da quella lezione: l'essere concisa e il cercare di essere ironica.
Ho trovato pazzesche le storie dove lui parlava con una evve moscia, dove "sidavafuocoallepalle", dove veniva uccico alla Kill Bill. Mi piace un sacco ridere mentre sento queste fantasie! Le trovo a dir poco instabili in un contesto instabile : perfette insomma!
Mi fanno pensare a quello che generalmente scrivo io ...ed è un mondo così lontano!!!!
Io sto bene nella malinconia, nell'incazzatura totale e avanti così...Non ho mai provato, seriamente, a far ridere forse....Ma ci voglio riuscire! Il mio compito è imparare e lo voglio fare nel migliore dei modi.
Per la prossima volta ci viene chiesto di scrivere una "storiella di natale", al 21 dicembre ci sarà la festa del Teatro e saremo presenti anche noi...non ho ancora ben capito come ..ma credo che la favoletta c' entrerà qualcosa! Stanotte non ho nemmeno dormito! Non sono pazza è solo che pensavo a cosa escogitare per la prossima volta, ho un sacco di idee...Figata! Quando non chiudo occhio per queste cose non sono nemmeno stanca al mattino dopo!
Sono adrenalinica e confermo che là dentro ci vivo bene!
Vorrei menzionare tutti ma certi, per quanto mi riguarda, spiccano più di altri...di ognuno però mi è rimasta una frase in particolare, un oggetto, una scena....la fantasia ragazzi!!! Lì dentro ce n'è! la fantasia è la mia droga! Voglio farmi sempre!
Scopo della mia prossima lezione dunque : esser concisa in UN SOLO A4 e divertente!
Ce la faranno i nostri eroi? ;)