Chiunque ha una città, la sua?
Recanati?
Chiunque ha una particolarità, la
sua? L’illusorietà.
Chiunque ha un nemico, il
suo?Alessandro Manzoni.
Chiunque ha un amore, il
suo?Antonio Ranieri.
Chiunque conosce la tristezza e
ne trova la forma che più gli si addice, la sua? Ampliata per l’intera
esistenza.
A 20 anni scriveva di morte e
depressione e forse è stato uno spreco di spazio che dei “positivi” avrebbero
potuto colmare. Ma passiamo ad un grado più alto di negatività: “Invidio
i morti e solo con loro mi cambierei” . Se non è desiderio di migliorarsi
questo!! Non ha mai avuto bisogno di bere, di eccitarsi con cose che non siano
state la tomba di Tasso, provò a buttarsi dal pozzo in giardino ma venne
ripescato!
Un po’ mi spiace per lui.
Fondamentalmente un timido, un tizio che trovi seduto sugli scalini a testa
china mentre si mangiucchia le unghie, che puzza un po’, che non percepisce
sollievo in nulla…certo, non è facile con deformità fisiche e malattie croniche
che ti perseguitano fin dall’infanzia.
Era un povero buttato nel cerchio della sventura. “Il poeta del
pessimismo”: non una diceria ma una sana e tangibile realtà, palpabile tra i
versi di bramosia non ricambiati, di auto convincimenti, di desideri respinti, di sensibilità sottovalutate.
Ranieri avrà goduto
dell’affettuosa amicizia incisa dal Leopardi,
in maniera intima e lusinghiera, ne sono certa. Immagino, invece, abbia ritenuto scabroso
l’appellativo di “strana coppia” attribuito loro dai giornali di gossip del
tempo. Ogni lettera un addio eppure non
c’era fine, c’era speranza mascherata da nascosta continuità. “Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe
costretto ad ammirare, e biasima sempre, come la volpe, quelli che invidia.
Addio anima mia…”.
Poi c’è “A Silvia”, “Il sabato
del villaggio”, “L’infinito”…insomma, un mix di parte femminile che prevale, di
gioiose feste dell’amore, di attorcigliati pensieri in non confini . Morì a Napoli, probabilmente
dopo essersi guardato allo specchio, finché, indossando una tunica nobilissima
per assomigliare agli amatissimi greci , scoprì che non stava poi così bene,
divenne cupo, scribacchiò di debolezze, di dilemmi macchinosi, di isolamento.
Si consegnò all’aldilà, nella metamorfosi che un dio gli doveva.
Sia andata così oppure no,
concordo che l’insincerità delle poesie rappresenta l’intrigante dedica a ciò
che vorremmo ma non riusciamo a toccare. La percezione ti tiene vivo. Non staremo
qui a parlare di lui se non fosse vero.
Nessun commento:
Posta un commento