mercoledì 23 novembre 2011

Terza Lezione 22-11-11

Non vedevo l'ora di arrivare qui questa mattina!
Riprendiamo, dunque, con l'appuntamento "scrittura creativa".
Ieri sera era l'ora della biografia su Marco Ongaro (il proff appunto), divisa in capitoli mescolati, con personaggi che arrivano per un attimo per cambiare la storia, con morte ecc...questa è la mia.


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La pozzanghera di sangue era l’unica nota di colore, non era troppo distesa per far sì che il foglio rimanesse immutato nell’origine.
Prima, qualcuno, avrebbe dovuto leggerlo.

“Mi sono ucciso per un sogno. Io non svengo. O vivo o muoio. Carnefice di me, della mia consumata libertà, di lei, della mia rivoluzione cerebrale, del mio eterno bisogno silenzioso.”

Fu questa l’unica opera firmata Marco Ongaro.
Per una volta autore dal suo cuore alla penna, per la prima volta con un volto esistente.
Non era tempo per applausi ad altri, ora i meriti erano stomaco ed orecchie.
Firmatario assoluto.
Non più “negro” ma re e, nonostante questo, schiavo di sé stesso.

Nato a Verona nella riflessione della sua astuzia, tra un impazzito viaggio rotolante e una meta a cui dare significato. Tra snobbare un piatto tipico e un attaccamento alle sue origini.
Era oratore, scrittore, illusionista, strafottente con classe, attento al passato, saltinmente con risposta prima della fine del tempo (tic-tac tic-tac tic-tac),  alcolizzato da sé stesso, non amava nel modo esatto.
Pure lui.


“E’ perfetto in svariate dimensioni ma non sa trovare quella che gli appartiene. E’ puntina ruvida per i sottofondi. E’ il suicida del suo percorso”.
Azzardò un opinione “strumentale”e fece l’occhiolino.
Era Bonnie che appoggiò con le mani la verità su una vetrina di grammofoni vecchi ma non polverosi.
C’era Parigi, c’era la musica di un tempo, i clacson che la disturbavano, le torri d’acciaio, gli archi di marmo, le puttane che si conciavano da vere dame, c’era la pioggia, c’erano dolci buonissimi, c’era Marco e l’inspirazione cauta e rilassata di una frase come un’altra.
Ma era Bonnie.


Un uomo, improvvisamente,  lo sfiorò come un lampo, arrancando passi malmessi in anfibi slacciati, respirando affannosamente in una felpa scura, urlando di fargli spazio.
E poi un rumore assordante e troppo vicino.
Uno sparo senza mittente storpiò i successivi sgoli e svuotò la strada.
Marco era trattenuto dalla rabbia di non aver nemmeno chiesto “quel” nome e la voglia di soccorrere chi non aveva più nulla da dire.
Fu una giornata che scombussolò i suoi normali schemi.

Carriera d’opportunità, sofferenze sottili, idee ingegnose, vertigini sulle nuvole, impronte lasciate da un corpo elettrico.
Prendeva la scossa dallo sportello della macchina, ogni sera d’inverno, ogni sera imprecava. Si concedeva a chi sta lassù solo in quel momento.
Non era amarezza, non era vacanza, non era in pugno, non era fottuto mai.
Sorprendentemente solo come da copione. Ed era godimento.
Circondato da narcisismo e arrancati sorpassi.
Sapeva che non sarebbe mai risorto nella pelle di altri e si deliziava e sentiva freddo e vibrava e premeva le 10 unghie su quella testa liscia.
Lasciava i segni bianchi dell’impronta digitale che non lo sopportava.
Sul divano macchiato d’inchiostro viveva quando poteva.
Amante del blues perché era l’unica musica “bassa” come la sua voce da piccolo, disordinato e mai intento a risolvere il problema.
Lo amavano.
Lo sapeva.
Dopo quel terremoto che devastò gran parte dell’Italia, prese le distanze dalla frenesia, scavalcò le pile di quotidiani, aprì lo zaino, ammucchiò i libri sul tavolo, accese la luce e si complimentò mentalmente per la perfezione dell’azione.
Era sudato ed era metà novembre, era un urlo in una conchiglia, nero e abissale come ciò che indossava.

Era dannatamente bella, semplice a tutti i costi, modellata in un intrigante verve, profumava di crema di latte, era da mordere piano piano, era l’unica cosa che ricordava dopo 70 anni sulle spalle.
Nemmeno un nome. Solo una miriade di sensazioni che lo stavano masticando.
Aprì il cassetto delle posate per la prima volta: non cucinava, non aveva ospiti, non viveva l’intimità di una famiglia perchè in 2 si stava stretti ma in uno c’era (forse) troppo spazio.
Con fermezza e decisione scovò subito il coltello più grande, prese una sedia scricchiolante con un cuscino giallo e decise di rilassarsi.
Fumò 3 sigarette pesanti. Il fumo era dappertutto.
Scrisse velocemente e ripose il foglio sul pavimento caldo.
In quell’istante suonarono alla porta. Era il momento.
Gli allungò la lama, si guardarono (credo), Marco fece un cenno e fu travolto da una pugnalata nel lato del cuore. Un’intimità estrema scorreva a rigoli rossi.
“Tic Tic Tic Tic” gocce pesanti in un secchio vuoto da riempire.
Lei aveva ragione “Non era mai riuscito a trovare la giusta dimensione e divenne il suicida della sua vita”.
Ciò che ERA lesse le righe di CHI NON ERA e, a gambe incrociate, iniziò a guardarlo dal basso verso l’alto.
Compassione e rispetto.
Per la prima volta era solamente un’anima.
Non era mai stato così completo.

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Dopo poche righe Ongaro ha chiesto di chi fosse il foglio che aveva in mano e subito dopo procedeva da solo con la risposta: aveva capito che ero io!! Alla fine del racconto gli è scappato un "Ma sei bravissima, che termini! Ti si riconosce perchè in ciò che scrivi sei diversa da tutti gli altri!  (che comunque ognuno ha una linea....).Era davvero sincero.   Applauso.
Il mio grado di autostima credo sia salito allo stelle in quel preciso istante. Non so come dire ma era come se, quell uomo, avesse capito al volo ogni mia singola parola, riferimento, metafora, ecc...Non avrei dovuto spiegare niente...L'aveva interpretato come volevo io, l'aveva sentito come l'avevo scritto. Pazzesco!
Ci rimango così, un pò impietrita e un pò soddisfatta. Sentirsi dire d'avere uno "stile" per me è fondamentale, forse è proprio quello che cerco, forse è quello che voglio che la gente riconosca in me..una personalità!
A tal proposito mi tiro le orecchie per essere stata, a mio avviso, banale su alcuni punti...Il suo mestiere da "negro", l'aver menzionato Parigi e il suo abbigliamento rigorosamente nero. In tanti hanno addocchiato questi particolari e avrei voluto non essere "tra i tanti" ma imparerò a sviare dal prototipo di ciò che è e cercherò di andare oltre.
Altre 2 cose porto a casa da quella lezione: l'essere concisa e il cercare di essere ironica.
Ho trovato pazzesche le storie dove lui parlava con una evve moscia, dove "sidavafuocoallepalle", dove veniva uccico alla Kill Bill. Mi piace un sacco ridere mentre sento queste fantasie! Le trovo a dir poco instabili in un contesto instabile : perfette insomma!
Mi fanno pensare a quello che generalmente scrivo io ...ed è un mondo così lontano!!!!
Io sto bene nella malinconia, nell'incazzatura totale e avanti così...Non ho mai provato, seriamente, a far ridere forse....Ma ci voglio riuscire! Il mio compito è imparare e lo voglio fare nel migliore dei modi.
Per la prossima volta ci viene chiesto di scrivere una "storiella di natale", al 21 dicembre ci sarà la festa del Teatro e saremo presenti anche noi...non ho ancora ben capito come ..ma credo che la favoletta c' entrerà qualcosa! Stanotte non ho nemmeno dormito! Non sono pazza è solo che pensavo a cosa escogitare per la prossima volta, ho un sacco di idee...Figata! Quando non chiudo occhio per queste cose non sono nemmeno stanca al mattino dopo! 
Sono adrenalinica e confermo che là dentro ci vivo bene!
Vorrei menzionare tutti ma certi, per quanto mi riguarda, spiccano più di altri...di ognuno però mi è rimasta una frase in particolare, un oggetto, una scena....la fantasia ragazzi!!! Lì dentro ce n'è! la fantasia è la mia droga! Voglio farmi sempre!
Scopo della mia prossima lezione dunque  : esser concisa in UN SOLO A4 e divertente!
Ce la faranno i nostri eroi?  ;)






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